sabato 30 aprile 2011

I peccati capitali: seconda parte

Gola.


L'ingordigia è un rifugio emotivo:
è il segno che qualcosa ci sta divorando.
Peter De Vries, Comfort Me with Apples, 1956

Un altro dei peccati capitali è quello che riguarda la gola. Nei discorsi e le opinioni che compongono la nostra vita chi “soffre” del peccato di gola è colui che mangia, mangia, mangia fino quasi a scoppiare, chi facendo in questo modo viola il proprio corpo sformandolo e facendolo soffrire fino ad arrivare a volte alla morte.
Pensando alla gola mi viene in mente un mito, quello di Erisittone, uomo pieno di ricchezze la cui unica gioia era accumulare, che per arricchirsi ancora di più decidere di tagliare il bosco sacro consacrato ad Demetra, ebbene viene condannato a soffrire di una fame incessante, devastante che non potrà mai saziare. Così per nutrirsi si trova costretto a usare tutti i suoi averi e alla fine impazzito si troverà costretto a divorare se stesso.
Dal punto di vista psicologico, quindi, possiamo far risalire il peccato di gola ad una situazione di disagio emotivo-psicologico che non riesce a trovare altro sfogo se non nel ricorso al cibo. Si usa lo strumento-cibo per sentirsi meglio in una situazione di tristezza, noia o frustrazione, passando così da una visione di cibo come aspetto della vita da gustare, assaporare ad una che vede gli alimenti come un qualcosa che viene a colmare il vuoto appena creatosi.
Siamo dinanzi ad una situazione di compensazione emotiva, in cui per evitare di sentirsi divorati dalle proprie emozioni si mangia il cibo. Ecco colui che ci è sempre disponibile, silenzioso e non giudicante, colui che ci risolleva (momentaneamente) dalla situazione frustrante che ci si è creata intorno. Così si mangia e si mangia di tutto ed ecco il dilagare dei nuovi disturbi alimentari legati all’abbuffarsi come: l’abbuffata compulsiva, il Binge Eating Disorder, l’obesità, la bulimia.
Ma il peccato di gola non comprende solo ed esclusivamente un eccesso che porta all’abbuffata, ma anche: il ricorso al cibo nelle situazioni di pura golosità. A chi non è mai capitato di passare dinanzi ad una pasticceria, fermarsi davanti la vetrina e sentire arrivare sotto le proprie narici un invitante profumo di cornetto appena sfornato e nonostante si sia fatta colazione, nonostante il nostro senso di sazietà sia pieno fino all’orlo ci si avvia verso il bancone del bar chiedendo quel famoso cornetto che appagherà non solo il nostro naso ma il nostro palato; e le situazioni di deprivazione totale che caratterizza chi è affetto da anoressia. Ci si priva di tutto ciò che è cibo lanciando un grido di aiuto che in quel momento non si riesce a riconoscere, a elaborare, a verbalizzare arrivando nei casi più estremi alla morte.
Ecco che riconosciamo l’importanza di creare un nostro equilibrio nutrizionale, riconoscendo il sano modo di alimentarsi, anche cedendo a volte al nostro peccato di gola, ma con la consapevolezza di ciò che in quel momento stiamo facendo rendendolo solo un momento occasionale della nostra vita.

Accidia.

La cosa più deliziosa non è non aver nulla da fare:
è aver qualcosa da fare, e non farla
Marcel Achard

L’accidia così come la gola è sicuramente uno dei peccati capitali più diffusi, quello che almeno una volta nella vita ognuno di noi ha “provato” abbandonandosi su un prato, sulla spiaggia, sul divano nella nostra casa o su un amaca.
L’accidia è intesa come l’avversione ad operare, a muoversi accompagnata da tedio e pigrizia.
Così come tutti i peccati capitali che abbiamo visto fino ad ora anche l’accidia è possibile inquadrarla in chiave psicologica prendendola nella sua estremizzazione. Infatti, mentre ogni tanto sembra assolutamente giusto e normale per ciascuno di noi abbandonarsi al “dolce far niente”, per alcuni di noi questa sensazione di abbandono può trasformarsi in una trappola, un buca da cui non si riesce a vedere la luce, la via d’uscita.
Decidere di non fare nulla, di restare li fermi, senza muovere un muscolo, non lasciarsi trasportare dal minimo desiderio di raggiungere un obiettivo, evidenziano un disagio interiore grave ed condurre una persona nell’intricato e spaventoso labirinto della depressione.
L'accidia ha un carattere complesso e confuso in quanto è un miscuglio di pensieri provenienti da forze diverse. Chi è colpito dall'accidia avverte un senso di disordine e di illogicità in cui si intrecciano reazioni contrastanti: si detesta tutto ciò che si ha e si desidera ciò che non si ha. Si inizia a percepire che tutta la propria esistenza perde di tensione, è come allentata in un senso di vuoto, nella noia e nella svogliatezza, in una incapacità di concentrarsi su una determinata attività, nella spossatezza e nell'ansia. Viene a mancare un polo che riesca a stimolare tutte le componenti della persona che si stanno attenuando.
A causa dell'angoscia e dell'ansietà, la vita inizia a prendere le sembianze di uno specchio su cui non ci sono punti di appoggio, non vi sono più punti sicuri, ci si ritrova senza certezze.
Altri sintomi dell'accidia sono l'indifferenza è l'instabilità. Questa instabilità si manifesta in diversi modi: dal cambiare casa o posto lavoro, al fuggire verso situazioni ritenute ideali; dall'instabilità di umore a quella di giudizio; dall'instabilità nei rapporti interpersonali alla sfiducia totale verso se stessi.
Anche la ricerca di sempre nuove emozioni e divertimenti e la paura di lasciare spazi vuoti da impegni sono palliativi di fronte a una situazione esistenziale che si minaccia vuota e priva di senso. Un ultimo sintomo dell'accidia è l'impossibilità per l'uomo di vedere qualche cosa di buono e di positivo: tutto viene ridotto al negativismo e al pessimismo assoluto. L'insoddisfazione diventa la modalità normale di affrontare l'esistenza, e spesso anche ogni possibilità di futuro diventa inimmaginabile.
Ma come tutte le cose che fanno parte della vita di ognuno di noi possiamo trovare la chiave per superarli, affrontarli. Combattere l'accidia significa, quindi potersi sentire nuovamente capaci di lottare per la realizzazione dei propri sogni e dei propri progetti, significa riuscire a restituire all'individuo la capacità di tornare a sperare e di costruire il proprio mondo interiore nel miglior modo possibile, senza limitarsi ad agognare ciò che non si è avuto, significa, anche, ridistribuire le proprie forze sulla base della valutazione delle proprie possibilità e così liberarsi da quella sensazione di disprezzo e stanchezza verso i propri impegni di vita che ci ha accompagnato fino a poco tempo prima.
Essere produttivi nella vita di tutti i giorni, dotarsi di tranquillità e perseveranza, mettersi in discussione e riuscire a non dare mai nulla per scontato è il di certo la formula necessaria per assaporare un’esistenza più intensa e degna di essere vissuta.

lunedì 11 aprile 2011

Il benessere psicologico


A maggio si svolgerà il mese del benessere psicologico nel mio studio presso via Nicola Serra 74, con il primo colloquio gratuito, prenota il tuo colloquio per riuscire a scoprire insieme le competenze e gli strumenti che ciascuno di noi possiede.
per info contattatemi sul blog o via mail: elviradoc@libero.it
o orario di studio al numero: 3490581247