mercoledì 26 dicembre 2012

Master in mediazione familiare

Vi volevo dare un piccola anticipazione sui progetti del nuovo anno, a giugno 2013 partirà la prima edizione del "Master in mediazione familiare" con sede a Cosenza. 
Il master sarà pratico-teorico e presenterà al suo interno simulate, cineforum e seminari tenuti da professionisti del settore. A gennaio sul blog saranno comunque presenti tutte le informazioni, se siete  stuzzicati dall'idea non esitate a contattarmi sarò lieta di dipanare tutti i vostri dubbi.


Possono accedere al master i laureandi di II livello o magistrale che termineranno il loro percorso entro l’anno 2013 afferenti alle seguenti classi di laurea: Psicologia, Sociologia, Pedagogia, Scienza dell’Educazione, Giurisprudenza, Scienze della formazione primaria, Filosofia, lettere moderne. Psicoterapeuti e psicoterapeuti in formazione. Le seguenti figure professionale: Educatore e Assistente sociale, Insegnante, Educatore professionale, Medico Chirurgo (Neuropsichiatria infantile, Medicina Generale, Pediatria), Counselor.

mercoledì 12 dicembre 2012

Resistere alla crisi? Usiamo la nostra Resilienza.

 “Le anime più forti sono quelle temprate dalla sofferenza. 
I caratteri più solidi sono cosparsi di cicatrici.”
Khalil Gibran


Si chiama resilienza quella "strana" capacità di riuscire ad affrontare le avversità della vita e di resistere ai suoi urti.  La resilienza ci aiuta quindi anche nelle avversità a mantenere intatta la nostra emotività ed equilibrio psichico.
Ma la possediamo tutti o anche se ci rendiamo conto di non possederla possiamo crearcela? 
Ebbene la possibilità di far fronte e superare queste situazioni altamente ostili e avverse nasce dentro di noi grazie ad una specifica combinazione di numerosi fattori.
Per capirci meglio proviamo a stilare una sorta di profilo del perfetto resiliente: il resiliente è colui che ha la situazione piena di padroneggiare al meglio le situazioni, ha una buona autostima e una conseguente buona capacità di trovare una soluzione ai problemi che lo affliggono. Come affermavo poc'anzi l'autostima è la macchina che guida tutto il percorso di resilienza o di sviluppo della stessa, che deve assolutamente essere accostata alla situazione generale. Proviamo a fare un esempio; se perdiamo il lavoro e non abbiamo fuori dall'ambito lavorativo un adeguato supporto familiare e amicale anche se abbiamo una buona autostima il nostro "potere" di resilienza non riesce a venir fuori, almeno non nell'immediato.
 Possiamo quindi ben comprendere come per lo sviluppo della resilienza sia importante l'ambiente in cui si è cresciuto, in quanto un'atmosfera familiare rassicurante favorisce il nostro sapere affrontare i problemi. Ma anche chi non è cresciuto in un ambiente che potesse favorire l'appoggio emotivo o un adeguato sviluppo dell'autostima può sviluppare resilienza, vediamo insieme come.


  • Pensiamo e valorizziamo il nostro passato: in situazioni di difficoltà pensiamo a come siamo riusciti a affrontare con successo un'altra situazione altamente stressante e difficoltosa che pensavamo di non riuscire a superare, in questo modo la nostra autostima aiuterà la resilienza a venir fuori in modo adeguato;
  • Concentriamoci sul presente: è importante contestualizzare la situazione che si sta vivendo, ciò che sta accadendo accade ora e solo ora, quindi non sarà per sempre, abbiamo gli strumenti quindi per superarla, troviamoli e andiamo oltre;
  • Essere flessibili: questa prerogativa è fondamentale perchè se non mostriamo un minimo di flessibilità nella nostra vita e nel nostro pensiero difficilmente riusciremo a sviluppare la nostra capacità di resilienza. Abbiamo una difficoltà? Cambiamo il nostro schema di pensiero, troviamone uno alternativo perchè forse quello vecchio non è idoneo ad aiutarci adesso. Per far questo dobbiamo anche imparare a sviluppare il nostro senso dell'orgoglio, perchè rimuginare sul passato non serve a niente, cambiamo i nostri meccanismi di pensiero e siamo orgogliosi degli obiettivi che man mano riusciremo a raggiungere con questo nostro nuovo assetto mentale;
  • Impariamo a chiedere aiuto: ecco perchè è importantissimo l'ambiente familiare in cui siamo vissuti, nella società odierna sembra sempre di più un fallimento il chiedere aiuto e supporto ai propri familiari eppure è una cosa fondamentale per affrontare e superare i momenti di difficoltà. Dobbiamo iniziare a riconoscere le nostre emozioni e a comunicarle nel bene e nel male, ammettendo le nostre debolezze del momento, perchè avendo qualcuno al nostro fianco che ci mostra un'altra visione della situazione che viviamo può farci vedere le cose con occhi diversi e farceli apparire più semplici rispetto a quello che credevamo, attiveremo così in modo più semplice la nostra capacità di resilienza e superare nel modo più semplice possibile la situazione di difficoltà;
  • Non piangersi addosso: la cosa più sbagliata che possiamo fare è piangerci addosso, chiederci perchè è capitato a noi e solo a noi. Il nostro sentirci perseguitati ci risucchierà sempre di più nelle sabbie mobili del non riuscire. Elaboriamo invece pensieri positivi
  • Hardiness: comprende tre dimensioni: il controllo, ovvero la nostra convinzione di controllare l'ambiente che ci circonda e di conseguenza anche l'esito degli eventi; l'impegno nel crearci degli obiettivi da raggiungere e superare; la sfida dove abbiamo la visione dei cambiamenti come incentivi e le opportunità di crescita.
Ma quali sono le domande che dovremmo porci nelle situazioni in cui la resilienza potrebbe "salvarci"? vediamole un pò:
  1. quali eventi per me risultano più stressanti?
  2. in che modo o maniera mi hanno condizionato?
  3. nei momenti di difficoltà quale persona è stata per me più significativa?
  4. nei momenti difficili cosa ho più apprezzato di me stesso e del mio modo di relazionarmi con gli altri?
  5. una volta superati i miei momenti più difficili quanto ha contato per me aiutare chi si trovava nelle situazioni difficili da me sperimentati?
  6. come ho superato i momenti più difficili?






Pubblicato anche sul portale: www.oggisalute.it

mercoledì 28 novembre 2012

Percorso per la gestione e il mantenimento del peso corporeo

Lo studio di psicologia e mediazione familiare organizza dei percorsi sia individuali che di gruppo per il sostegno e la gestione del proprio peso corporeo nella provincia di Cosenza. Avrete a disposizione non solo lo psicologo che vi seguirà passo passo nel vostro cammino, ma su richiesta potrete avere la consulenza di un biologo nutrizionista.



Per ricevere altre informazioni o fissare un primo colloquio conoscitivo potete contattarmi o attraverso il blog oppure telefonando al 3490581247, oppure scrivendomi a: elviradoc@libero.it.

venerdì 9 novembre 2012

La costellazione materna, il vissuto emotivo della gestante.


La  gravidanza e in particolar modo la prima gravidanza porta con sé una rivoluzione sia nel corpo della donna sia in tutto ciò che ruota intorno a lei, dal rapporto di coppia a quello con la famiglia d’origine, dal rapporto con il suo corpo e tutto ciò che la sua psicologia muove dentro di sé.
In particolar modo in psicologia “l’evento” gravidanza è osservato con occhio particolare per tutto ciò che porta con sé, in quanto dà inizio ad una crisi. Non una crisi che sfocia sempre e comunque in qualcosa di negativo, ma è un percorso di cambiamento, nuove scoperte e nuove visioni della vita.
Il grande cambiamento sta quindi nell’assetto psicologico della madre, Stern la chiama “Costellazione materna”. Dopo la fecondazione ogni donna, in modo conscio o inconscio, inizia a porsi tante domande come se sarà in grado di metterlo a mondo questo fino, se sarò capace di crescerlo, se saprà amarlo nel modo giusto, si inizia quindi a pensare per due. La donna diventa madre.
Si inizia così a creare un’immagine di questo bambino, un’immagine tutta mentale di come sarà, che personalità avrà e addirittura cosa farà da grande, cosa diventerà. La madre vive così una sorta di gestazione mentale, un lavoro psichico tramite il quale prepara la profonda trasformazione della propria identità che influirà sulla sua vita di coppia, sui rapporti con la famiglia di origine, sulla vita professionale e sociale e sul senso che lei stessa ha di sé. A seconda delle sua personalità, del suo modo di essere e della sua esperienza di vita queste rappresentazioni saranno più o meno vaghe o precise.
Possiamo dire, molto schematicamente, che l'immaginazione della madre oscilla tra due rappresentazioni mentali. Da una parte, infatti, troviamo il bebè "desiderato", un bambino, con tutte le caratteristiche che si possono immaginare: bello, forte, sportivo, affascinante, allegro, vivace, intelligente, dolce, simpatico, un bambino vincente. Dall'altra parte, invece, troviamo il bebè "temuto" in cui sono racchiusi alcuni schemi classici, ma anche tutta una serie di elementi personali : la paura che abbia qualche malformazione, che sia debole, brutto, che magari da grande diventerà violento.

                                           

Naturalmente tutte queste paure non sono presenti nello stesso tempo e con la stessa intensità nella testa di ogni madre: ce ne sarà qualcuna che predominerà sulle altre o si potranno succedere in questo gioco per tutta la gestazione a seconda dei libri letti, dei film visti, dei discorsi fatti.
In questa fase la donna elabora la propria immagine del futuro bebè, di se stessa come futura. Man mano che i mesi passano questi pensieri si fanno sempre più invasivi nella mente della madre fino all’arrivo al mondo del neonato, ora il bambino reale incontrerà il bambino immaginato.
La costellazione materna quindi, ci aiuta a sottolineare come sia importante la condizione emotiva di chi si appresta a diventare madre che è caratterizzata da un’estrema sensibilità e ricettività che da un certo punto di vista permette che la madre inizi a creare uno stretto rapporto con il proprio bambino ma nello stesso momento diventa ipersensibile riguardo a tutto ciò che la circonda.
Tutto questo meccanismo, quindi, come abbiamo potuto osservare, non avrà fine con la nascita del bambino, ma accompagnerà il rapporto madre-bambino per tutta la loro vita, in uno scambio equo di aspettative e realtà.

domenica 26 agosto 2012

L'importanza del benessere psicologico


Vista la situazione di crisi che ci troviamo a vivere e le sue ripercussioni sul nostro benessere psicologico, lo Studio di psicologia e mediazione familiare promuove l'inizio dei gruppi di supporto per ritrovare l'equilibrio psicologico. 

Ecco i gruppi che partiranno da ottobre: gruppo di sostegno alla gestione della fame emotiva; gruppo di sostegno alla genitorialità; gruppo per la gestione dello stress; incontri di psico-nutrizione.

Gli incontri saranno tenuti da una psicologa, la Dott.ssa Elvira Orrico. 

Per qualsiasi informazione e per prenotare l'incontro preliminare (gratuito in caso di partecipazione al gruppo) potete telefonare al 3490581247 oppure inviando una mail a: elviradoc@libero.it

venerdì 25 maggio 2012

- Mamma, papà vengo a dormire da voi! -.




Quando in una coppia nasce un bambino sono tanti gli interrogativi che si affollano nelle loro teste, uno dei tanti riguarda il fatto di permettere o meno al bambino di dormire nel lettone con mamma e papà. Mentre fino a pochi anni fa anche nella psicologia, oltre che nella rete sociale che circonda la famiglia, il dormire con i propri genitori nei primi anni di vita veniva fortemente condannato oggi anche la psicologia ha sdoganato il co-sleeping. 

Proviamo a capire da vicino di cosa si tratta. Possiamo parlare di cosleeping in tutti i casi in cui un figlio dorme in maniera ripetuta e costante nel letto o con tutte e due i genitori o solamente con la mamma. Il termine intende l’abitudine di condividere lo stesso letto a partire dalla primissima infanzia fino, nei casi più patologici, all’età prepuberale. E’ importante distinguere il cosleeping dal room-sharing pratica che vede l’inserimento del bambino nella stanza dei genitori, ma non la condivisione fisica del lettone. Il dormire nel lettone di papà e mamma può avere diverse origini e può essere vissuto con diverse modalità, c’è il bimbo che dorme tutta la notte nel letto dei genitori mentre possiamo trovare il bimbo che vi trascorrerà solo qualche ora. 

Una ricerca condotta dalla Stony Brook University di New York ha dimostrato che il co-sleeping non ha alcuna conseguenza psicologica sul bambino: il fatto di dormire nel lettone con mamma e papà, e sentirsi coccolato dalle loro carezze e dal loro odore, non inciderebbe affatto sullo sviluppo psicologico e relazionale del piccolo, contrariamente alle teorie elaborate negli ultimi anni. Lo studio ha tenuto in osservazione quasi mille coppie che erano solite praticare il bed-sharing con i propri figli, dimostrando che i bambini non accusavano alcun disagio in nessun aspetto della loro vita. Inoltre, lo sviluppo cognitivo non aveva subìto nessun’alterazione e, a livello sociale, relazionale e comportamentale, erano alla stregua dei loro compagni che erano soliti invece dormire da soli nel proprio lettino. Inoltre, il co-sleeping faciliterebbe l’instaurarsi dell’armonia tra madre e figlio e favorirebbe la produzione di latte. 

Questo studio ha sostanzialmente rilevato che non esistono effetti collaterali all’attuazione di tale pratica. 

Anche la psicoterapeuta inglese Margot Sunderland, nel 2008, nel suo saggio The Science of Parenting: Practical Guidance on Sleep, Crying, Play, and Building Emotional Well-Being for Life, consiglia ai genitori di consentire tranquillamente ai bambini di dormire nel lettone almeno sino ai cinque anni. Assicura, che questa abitudine accresca le probabilità che tali bambini diventino degli adulti sereni, sani ed emotivamente equilibrati. Inoltre dichiara che abituare i bambini a dormire da soli già a poche settimane di vita è dannoso, perché la separazione dai genitori aumenta la produzione degli ormoni dello stress nei bambini. 

Certo il co-sleeping creerà un legame più forte con i due neo-genitori, ma non dimentichiamoci che nei primi mesi di vita il bambino può essere maggiormente vittima di Sindrome di morte improvvisa, teniamo da conto che lo studio è stato condotto su famiglia che avevano un bambino di circa un anno. 

Da psicologa mi viene spontaneo sottolineare un aspetto della relazione genitori-bambino, l’andare a dormire per il bambino rappresenta una situazione di separazione, ecco perché il più delle volte diventa un momento della giornata da dimenticare per i genitori a causa delle continue lotte per addormentarsi. Il co-sleeping potrebbe sembrare la soluzione più veloce e sicura, ma consideriamo che creare un buon livello di attaccamento con il proprio bambino, un attaccamento sicuro, e il sonno non viene vissuto come un atto separativo, ma un modo naturale del proprio vivere, se viene rassicurato anche dall’ambiente che lo circonda, il bambino inizialmente farà i capricci ma presto supererà questa fase. 

Quindi è giusto o no dormire con il bambino? Una cosa è certa, l’importante è instaurare un equilibrio e una serena tangibile in famiglia per il bambino, aldilà del luogo in cui si dorme. Il resto viene e verrà da solo; valutare se è il caso di dormire col proprio bambino o preferire un’intimità col proprio partner è a discrezione solo ed esclusivamente dei genitori, perché non è il luogo in cui si dorme a decidere come educare un bambino ma l’insieme di regole, dei comportamenti e delle abitudini che gli verranno insegnante nel corso della vita. 

Se lo ritenente giusto, dividete il lettone con il vostro bambino oppure fatelo dormire nel proprio letto, nella propria stanza, ma non dimenticate mai di ascoltare il vostro istinto, è l’unico che non sbaglia mai.



lunedì 23 aprile 2012

Gruppo di sostegno alla genitorialità

Lo studio di psicologia e mediazione familiare in collaborazione con l'avvocato Brunella Tassone, organizza sul territorio cosentino, i gruppi di supporto alla genitorialità per genitori separati che si trovano ad affrontare una nuova visione del rapporto genitoriale che esclude il precedente rapporto coniugale.

Il gruppo come stimolo a sentire la condizione critica della separazione dei figli, oltre che la propria, e per individuare modalità diverse di porsi nelle relazioni.
Il gruppo di sostegno è rivoltò a tutte le mamme e i papà che hanno smesso di essere marito e moglie o conviventi, ma che vogliono educarsi a non diventare pessimi genitori.
Gli incontri, che avverranno ogni quindici giorni, prevedono la presenza di due professionisti: una psicologa e un avvocato, che aiuteranno i partecipanti a comprendere e superare la situazione che si trovano a vivere dopo la separazione.

Il primo colloquio individuale sarà offerto gratuitamente qualora l'incontro si concluda con l'iscrizione al primo ciclo di incontri. Il primo incontro sarà destinato ad individuare  le tematiche avvertite  e vissute come problematiche dai  singoli partecipanti al fine di delineare un percorso che possa essere di interesse comune.  Le tematiche affrontate verranno arricchite o modificate in itinere in base alle esigenze dei partecipanti e all’individuazione delle priorità.

Per prenotarsi ai gruppi o ricevere informazioni potete contattare la dr.ssa Elvira Orrico, tel.3490581247 o scrivere una mail a elviradoc@libero.it oppure contattare l’avv. Brunella Tassone, tel. 3475396398 o scrivere una mail a: brunellatassone@libero.it, oppure inserire un commento sotto questo post.
Vi aspettiamo!

lunedì 13 febbraio 2012

Corso on line sulla gestione della coppia in via di separazione

Lo studio di psicologia e mediazione familiare presenta il corso on line sulla Gestione della coppia in via di separazione per tutti i professionisti che ruotano intorno all'universo che mette in relazione al coppia con l'evento di vita "separazione". Il programma del corso è il seguente:





     -         La comunicazione
-         La formazione della coppia
-         Struttura della coppia e ciclo vitale
-         Il conflitto: dinamiche e strategie di intervento
-         L’esito del conflitto e della separazione sui figli
-         Modalità e strategie di negoziazione
-         Mediazione e strategie di gestione
-         Il contratto con la coppia separata

Il corso è tenuto dalla dott.ssa Elvira Orrico, della durata di dieci settimane al costo di 150€. Al
termine del corso è previsto un esame finale con la consegna di un attestato di partecipazione.
Per qualsiasi informazione potete mandare una mail a: elviradoc@libero.it o telefonare al
3490581247

mercoledì 8 febbraio 2012

Quando mangiare diventa un problema: l’anoressia nervosa.

Sono una psicologa che dall’inizio della sua professione mi sono sempre occupata di disturbi alimentari, o meglio sono i disturbi alimentari che mi hanno sempre “trovata”. Partito da interesse personale, è diventata voglia di aiutare in modo sempre più professionale dopo l’incontro con una biologa nutrizionista che condivideva il mio modo di approcciarmi al problema. È iniziata così una collaborazione che come dicevo prima è stata aiutata dal fatto che erano i disturbi alimentari a trovare noi. La gran parte delle persone che si rivolgevano e si rivolgono a noi rivelano un cattivo approccio all’alimentazione, molte un disturbo alimentare. 

Ecco la necessità di spiegare uno dei disturbi alimentari più diffusi, ed ecco la mia necessità di non spiegare solo ed esclusivamente cosa sia l’anoressia nervosa, ma di leggerla anche attraverso le parole di Veggie, ragazza che vive il suo ritorno alla vita comunicando attraverso un blog i suoi sentire. 

Un giorno mi sono guardata allo specchio e non ho visto quel che avrei voluto vedere. Il riflesso che mi rimandava non era quello che avrei voluto che fosse. Non mi piaceva. Non volevo essere quella me stessa. Volevo essere un’altra me stessa. Non mi piaceva quel riflesso. Mi faceva schifo. Se avessi potuto, avrei sputato su quel riflesso prima di rompere lo specchio e urlare, tanto mi detestavo …. Così ho iniziato. Senza neanche rendermene conto, senza sapere quello che stavo facendo, sono scivolata nella spirale discendente dell’anoressia. L’ho fatto coscientemente, lucidamente, pur non potendo ovviamente in quel momento prevedere quali ne sarebbero state le conseguenze. Ho deciso di cambiare. Ho deciso di dimagrire. Ho deciso di restringere. Ho deciso di controllare. Ho deciso di essere forte. Ho deciso di diventare migliore. E tutto è cominciato. 

È così si entra nell’anoressia, così l’anoressia ha tentato Veggie, così l’anoressia tenta tantissime ragazze di ogni età e genere. Così, con questo cambiamento di visione, che in psicologia chiamiamo dismorfismo corporeo, che l’anoressia inizia a prendere “corpo” delle ragazze che guardandosi allo specchio non si vedono più adeguate, ma brutte e deformate. Ma cerchiamo di comprendere meglio come l’anoressia si configura e come colpisce. 

Il termine anoressia deriva dal greco ανορεξία che indica l’assenza di desiderio, in questo caso del cibo, ma il termine anoressia ben si adatta solo ed esclusivamente alla configurazione visiva della patologia in quanto l’aspetto del corpo delle ragazze che ne soffrono risulta in breve tempo sempre più magro fino ad arrivare alla denutrizione e a volte alla morte (una persona viene definita anoressica quando il totale del suo peso corporeo scende sotto l’85% del peso previsto riguardo all’età. Il sesso e l’altezza), mentre la loro fame, per niente scomparsa ma invece molto presente, diventa il nemico che devono combattere, il demone tentatore che mettono a tacere cos’ da acquisire sempre più potere sul proprio corpo e la propria mente. È qui che avviene il primo “lavoro” dell’anoressica, ovvero alterazione del riconoscimento del proprio corpo degli stimoli di fame e sazietà, perché è lo stimolo della fame che deve DEVE scomparire. Si comincia così ad eliminare innanzitutto tutti i cibi ipercalorici, a cominciare a prendere sempre più in considerazione le bevande gassate, il bere molta acqua (tutto questo per mantenere lo stomaco ben pieno) e riducendo man mano l’apporto di cibo. Iniziano a fare tutto a piedi per aumentare così i cibi bruciati ed evitare così ogni tipo di assimilazione di eventuali grassi. 

Questo è sicuramente l’aspetto visivo, che sia all’occhio del professionista che si occupa di nutrizione sia a chi vive quotidianamente con la persona affetta da anoressia, diventa immediatamente visibile. Ma l’anoressia non è solo voglia di dimagrire e rifiuto del cibo, ma è prima di tutto un disagio psicologico ed emotivo che prende sempre più piede nella vita di chi ne soffre, un mondo in cui rifugiarsi per difendersi da chi o cosa più fa star male. Sia nella mia esperienza professionale, che dagli studi precedentemente condotti da altri psicologi, si possono rilevare una serie di aspetti di personalità sempre presenti in chi soffre di anoressia. 

La persona anoressica non ha un adeguato livello di autostima, visti i rinforzi negativi che in quel periodo sempre più si sente riversare addosso la persona inizia a sentirsi inadeguata, impotente e incapace di gestire la sua vita. La bassa autostima porta poi ad un riconoscimento di un mancato raggiungimento di determinati obiettivi della vita, ecco perché la persona anoressica cercherà poi in tutti i modi di controllare tutto della sua patologia. Cosa mangiare, quando e quanto mangiare, quanto dimagrire e in quanto tempo. Acquista così man mano una sorta di potere sul suo corpo attraverso la sua mente. Infatti, in tutte le persone affette da anoressia si riconosce come una sorta di scissione tra mente e corpo. Si inizia a rinunciare al cibo, al vederlo sempre più al di fuori per arrivare a rinunciare al proprio corpo a vederlo dal di fuori solo ed esclusivamente come uno strumento (Nei primi tempi era stato più difficile tenere a freno l’appetito, soprattutto di fronte a un piatto ricolmo di cose gustose, ma poi il periodo critico è passato. Basta con l’acquolina in bocca e la fame, tutto passato: non stavo mai tanto bene come quando rinunciavo a mangiare qualcosa, come quando riuscivo a seguire la mia dieta. Che sollievo sarebbe stato rinunciare, assieme al cibo, anche a me stessa! ... La fame ha iniziato a non cogliermi più di sorpresa, in luoghi poco adatti o momenti inopportuni. Ho iniziato a dominarla. E la cosa mi dava un gran senso di potere, una soddisfazione analoga al benessere. Dopo aver resistito alle lusinghe del cibo mi sentivo come liberata, leggera. Al punto da pensare che ero forte, che ero brava, che riuscivo a fare qualcosa che ben pochi sarebbero stati in grado. Potere e controllo ). Ma il potere dell’anoressia non è solo personale, ovvero non viene esercitata solo sul suo corpo, ma anche e soprattutto nelle persone che la circondano. La famiglia di origine della ragazza affetta da anoressia inizia a vivere in una sorta di atmosfera “regolata” dal senso di colpa per ciò che la propria figlia sta vivendo e l’atmosfera stessa viene poi di conseguenza “regolata” dall’anoressica stessa che si ritrova ad avere tutta la sua famiglia sotto scacco, ora può prevedere ciò che prima le sfuggiva. E così l’anoressia si ciba della persona, così l’anoressia non ti permette di ragionare, di riappropriarti di te. Così l’anoressica porta con sé anche un vissuto di depressione, perché i cambiamenti del proprio corpo va di pari passo con il proprio umore, e da amica e vicina che sembra tirarti fuori dalla sofferenza vissuta precedentemente, l’anoressia inizia a diventare la peggior nemica da cui difficilmente ci si libera. Si entra in una sorta di circolo vizioso da cui si cerca con sofferenza di uscire. Il DSM-IV ( manuale diagnostico e statistico dei disturbi psichici) ci aiuta a schematizzare bene l’essenza dell’anoressia nervosa:

                 


Ecco perché la percentuale di morte per anoressia nervosa è molto alta, circa il 15% delle persone affette muoiono per denutrizione, insufficienza cardiaca e renale o per le varie infezioni che possono insorgere a causa della denutrizione. Ma abbiamo l’85% delle persone affette da anoressia riesce a farcela e di quell’85% fa parte Veggie. E con le sue parole volevo lasciarvi a riflettere, sia per chi lo vive in prima persona sia per i familiari, ma anche e soprattutto a chi si avvicina alla lettura di questo articolo con la sana curiosità di scoprire i vari aspetti del nostro mondo interiore, per comprendere che dall’abisso in cui può cadere la nostra mente si può uscire! 

E poi mi sono accorta che mi ero fregata da sola. Che l’anoressia non mi avrebbe mai portato tutto quello che prometteva. Anzi, al contrario, avrei dovuto sopportare una vita fatta solo di compromessi … Aveva rubato me stessa, aveva cancellato quello che ero e quello che avrei potuto essere. Aveva portato via la parte migliore di me, le cose che amavo. Perciò mi era rimasta solo una grande stanchezza, una solitudine senza confini, giorni fatti di ossessione e di vuoto … volevo ancora sperare. Perché volevo ritornare …
L’anoressia è una prigione che non ha odore, che non ha sbarre, che non ha mura: una prigione per la mente … Certo, è una cosa da cui sono passata, e niente potrà cancellarla. Ma la porterò nel doppio fondo dell’anima per sempre, come una contrabbandiera dell’orrore. Sorella morte. Ma la mia vita è ancora nelle mie mani, perciò sta a me decidere cosa farne … E adesso ho deciso di provare a non sprecarla. 


Vivere è possibile. Sta solo a voi scegliere di farlo – e come farlo. Io ho fatto la mia scelta. Spero che sia anche la vostra. 



P.s.: grazie Veggie per avermi donato in questo articolo il tuo sentire, nella speranza di essere di aiuto a chi sta attraversando la strada faticosa dell’uscita dall’anoressia nervosa (anoressiabulimiaafterdark.blogspot.com).

venerdì 20 gennaio 2012

Sono qui con te … l’importanza del legame di attaccamento nell’allattamento

“… appena c’era da vedere qualcosa di bello, subito essa era impaziente di mostrarlo a lui; sorgeva la luna, e subito lei correva a prenderlo in braccio, per portarlo davanti alla finestra dicendogli:”Carminiè, guarda. Guarda la luna”.
Elsa Morante, L’isola di Arturo
La nascita di un bambino porta nella vita di ogni coppia o famiglia la messa in opera di alcune modalità di riequilibrio che chiamano in causa ogni suo membro. Ma la necessità di un ri-equilibrio, il cambiamento più grande, spetta alla mamma che deve prendersi cura del suo bambino, che prima portava dentro di sé e che ora ha tra le sue braccia. L’allattamento rappresenta dal punto di vista psicologico il momento più importante affinché questo equilibrio abbia luogo, inizi il suo cammino. Si viene così a creare un continuum dal concepimento alla nascita che donerà alla madre la gioia di viversi la propria creatura e al bambino di trovare una buona base di attaccamento su cui poi strutturare la sua vita futura. Ma questo come può accadere? Ebbene così come nella vita intrauterina alla nascita è la madre che crea quello che Winnicott chiama Holding, ovvero ambiente. Ma come può la madre creare questo forte legame con il proprio bambino anche solo e semplicemente allattando? Proviamo allora ad osservare una madre che allatta. Il comportamento materno che assume vede un pattern (schema) di attività e pausa che è assolutamente e totalmente complementare a quello che ha il neonato. Kaye a conferma di tutto questo afferma che le fasi attive che riguardano il neonato e la sua suzione viene organizzata in 4-10 suzioni, subito seguite da una pausa della medesima durata. Di conseguenza la madre diventa passiva nelle fasi di suzione del bambino e attiva nelle fasi di passività dello stesso, è proprio nell’alternarsi, in questa piccola danza di sguardi tra madre e bambino che ritroviamo il baby talk. È da qui che parte e continua il legame di attaccamento che la madre inizia ad instaurare con neonato. Il funzionamento è molto semplice perché come ci ha illustrato Kaye madre e bambino rispettano il proprio turn taking, ovvero il turno di parola, nel rispetto dei tempi di entrambi. Quello che a ciascuna madre e anche a ciascun osservatore salta subito in evidenza è che questo meccanismo non è stato insegnato a nessuno dei due, in nessun modo, ma fa parte di quel nostro bagaglio innato che ci portiamo dietro fin dalla nascita. Caratteristica fondamentale del baby talking è la semplicità che in modo assolutamente spontaneo utilizza la madre; frasi semplici con pochi aggettivi che comprendono semplicemente soggetto verbo è l’oggetto che in quel momento si vuole mettere in evidenza come ad esempio:- Eva vuole pappa?- ; - Emma ha fame?-. il verbale viene sempre accompagnato dal non verbale, sguardi, sorrisi che la madre fa al proprio neonato e viceversa. Anche il tono della voce appare diverso nel momento in cui la madre si confronta con il neonato, l’intensità risulta molto più dolce e delicata quasi percettibile priva di qualsiasi elemento acuto e molto altalenante nel suo andamento. Tutto questo meccanismo di scambio, soprattutto durante l’allattamento permette di dare il giusto approccio per un buon legame di attaccamento alla madre e un buon inizio viaggio in questo nuovo mondo al bambino, in quanto la sua funzione non sarà solo quella ludica e di legame, ma con la crescita del neonato gli permetterà di ricevere dalla propria famiglia e figura di riferimento il giusto supporto, sostegno e rinforzo aiutandolo a compiere le proprie azioni e fare le proprie scelte in modo assolutamente sicuro. Serviranno quasi a completamento inconscio di ciò che stanno facendo. Ecco come un piccolo insieme di gesti, assolutamente spontanei sarà di fondamentale supporto ai nostri bambini fornendo loro una buona base di autostima e fiducia in sé stessi.


Bibliografia.
Kaye K., Fogel A., The temporal structure of face to face communication between mother and infants, Dev Psich 16, 454-464, 1980.
Winnicott Donald W., Sviluppo affettivo e ambiente, Armando Editore, Roma, 2007.

mercoledì 11 gennaio 2012

Mangiare le emozioni

Quante volte davanti ad un nostro momento di difficoltà ci ritroviamo a rovistare nella dispensa o frigorifero alla ricerca di qualcosa da ingerire, masticare così da scaricare l’ansia e la sofferenza che ci ritroviamo a vivere?
La fame emotiva è piena parte della nostra vita; nel momento in cui, però, si vengono ad innescare  dei meccanismi reiterati che difficilmente  riusciamo ad evitare rischiamo di sviluppare disturbi alimentari e  cattive condotte.
Quattro incontri di gruppo, informativi e di discussione aperti a tutti.
Si potrà richiedere la partecipazione a tutti o ai singoli incontri, che avranno luogo nel mese di febbraio. 
Gli argomenti trattati riguarderanno:
la buona psico-educazione alimentare
la fame emotiva e la sua gestione
i disturbi del comportamento alimentare
la motivazione alla dieta e alla gestione del proprio peso corporeo

Gli incontri saranno tenuti dalla Dott.ssa Orrico Elvira, psicologa dinamica e clinica per le persone, le organizzazioni e le comunità e mediatrice familiare e dei conflitti, con esperienza sul sostegno alla fame emotiva e il percorso-sostegno nei disturbi alimentari. Alla fine del percorso formativo di gruppo per chi volesse sarà possibile iniziare un percorso di gruppo di supporto alla gestione della propria psico-educazione alimentare. Per prenotare il vostro posto potete inviare una mail a: elviradoc@libero.it o telefonare al 3490581247

martedì 3 gennaio 2012

Incontri di gruppo per il sostegno alla gestione del peso corporeo

Ripartono a febbraio i gruppi per il sostegno alla gestione del peso corporeo. Dopo le feste vuoi prepararti per l'estate, o senti di aver esagerato con i dolci, il cibo e l'alcol, e vuoi rimetterti sulla giusta via? Senti di aver sviluppato un disturbo alimentare? Allora perchè non iniziare a riprendere in mano la tua vita con un supporto psicologico che può aiutarti a mò di cuscinetto nei momenti di sconforto o per darti la motivazione giusta? Se pensi che questo possa esserti utile ti aspettiamo nel gruppo di supporto alla gestione del peso corporeo, in cui incontrerai delle persone che trovano i tuoi stessi ostacoli e la possibilità di incontrare dei professionisti della salute che possono dissipare anche tutti i tuoi dubbi. Gli incontri vedranno il mio supporto psicologico. Per prenotare il tuo posto o per avere maggiori informazioni puoi contattarmi via mail: elviradoc@libero.it o sul mio recapito telefonico, ore ufficio: 3490581247.
Vi aspetto!
Dott.ssa Orrico Elvira