lunedì 6 giugno 2022

Il viaggio nei mille colori dell' autismo

 

Lavoro con i bambini ormai da tantissimi anni, tra i miei piccoli pazienti ho tanti bambini e ragazzi autistici, tutti diversi l’uno dall’altro: nella comunicazione, negli agiti, nelle emozioni e la loro espressione, ma accomunati nel percorso personale e familiare quotidiano. Dietro ad una stessa diagnosi vi è una persona, una famiglia, un ambiente sociale e familiare diverso che rendono quella strada simile e diversa allo stesso tempo. È qui che parte il mio lavoro con loro e la loro famiglia, la scoperta di milioni di mondi diversi, di sfumature che con attenzione devo osservare, comprendere, aiutare e apprezzare, facendo passi in avanti o indietro nel rispetto dei loro tempi.

Mi sono ritrovata più e più volte a pensare: ma quale può essere la difficoltà principale che ognuno di noi si trova davanti una persona autistica? Perché sembra risultare sempre difficoltosa la comprensione e l’inclusione? La prima risposta che spesso mi riesco a dare è una: ci manca attesa e osservazione!



In un mondo che va veloce, osservare, dare del tempo ai nostri, ma soprattutto agli altrui sensi, per entrare in contatto in modo reciproco risulta molto difficile, ma la persona autistica te lo impone perché ci troviamo davanti una modalità estremamente diversa dalla nostra di guardare il mondo, di percepire tutto quello che ruota intorno comprese le persone e i loro atteggiamenti.

Ed è qui che per me inizia la magia, è qui che il mio lavorare con loro prende una dimensione quasi fantastica. Il nostro modo di osservare è dettato dai tempi sempre più stretti e serrati, diamo al tutto uno sguardo globale, cerchiamo sempre di cogliere il generale trascurando il particolare, perché questo è fonte di tempo perso e di conseguenza poco interessante, ma con loro, e grazie a loro aggiungo io, il particolare prende il sopravvento. È il particolare l’essenza di tutto e tutto prende significato da quel particolare.

Si mette in atto, quindi, un lavoro al contrario, si tralascia la globalità del mondo per concentrarsi sul piccolo, per me stimolo e voglia di conoscere queste meraviglie, a volte belle a volte brutte, entrandoci in contatto nel nostro lavoro insieme.

Purtroppo, invece, è proprio per questa diversa percezione delle cose e delle persone che spesso facciamo fatica a comprendere alcuni loro comportamenti ed espressioni, gesti e reazioni. È qui, che spesso trovo resistenza quando cerco di esaminare quel che succede con le insegnanti o i genitori di questi bambini, per capire cosa porta ad un comportamento invece che ad un altro. Cercare di cancellare per un attimo le nostre barriere mentali e percettive per leggere, capire e comprendere questa che per noi è nuova realtà, ma che per loro è il quotidiano.

È da tutta questa riflessione, nasce la mia esigenza di condividere con voi questa mia esperienza lavorativa e personale. Attraverso una serie di articoli, che di settimana in settimana, cercherò di buttar giù sulla mia vita con loro, le loro famiglie e i loro insegnanti; proverò a parlare con voi di questo mondo, sperando in un confronto sempre di crescita e magari in un supporto a chi in questo momento affronta quest’avventura di vita, tra ansie e paure, lacrime e aspettative ma anche gioie, allegria, traguardi, sorprese e comunità.


Il mio primo passo, con il prossimo articolo, sarà quello di parlare dei genitori, questi fantastici genitori, dell’universo emotivo che guida il momento in cui una mamma e un papà si guardano negli occhi e iniziano a farsi domande sul loro piccolo e a sentire l’esigenza che altri sguardi possano poggiarsi su di lui per rispondere alle domande che il più delle volte vengono svalutate dal loro ambiente familiare. Vi dò quindi appuntamento al prossimo articolo, percorriamo insieme questo viaggio.

mercoledì 29 luglio 2020

Ci sono anch’io! Esser fratelli in una famiglia con disabilità



La famiglia è il luogo più importante per la crescita e lo sviluppo della personalità dei ragazzi, qui si creano e sviluppano l’uso dei comportamenti sociali e l’espressione di attitudini, atteggiamenti e competenze. Cosa importantissima da prendere in considerazione quando parliamo di famiglia è la sua struttura mai statica e chiusa ma dinamica e molto complessa che influenza e di conseguenza viene influenzato da fattori esterni o interni alla stessa.
Vivere in famiglia un’esperienza di disabilità comporta una rielaborazione delle dinamiche stesse, dei ruoli e degli stati emotivi, ma soprattutto dobbiamo considerarla come terreno fertile di esperienze e di risorse che attingono alla propria quotidianità.
Quando ci occupiamo di famiglia con disabilità il più delle volte si tende a focalizzarsi sui genitori, sicuramente pilastri della struttura familiare, ma non unici protagonisti, oggi voglio infatti proporvi di soffermarci su una nuova prospettiva e a nuovi protagonisti: i fratelli e le sorelle di persone con disabilità.
Dove si collocano? Che ruolo hanno o possono avere? Quali aspettative, desideri, paure, rabbie, gioie esprimono? Ma soprattutto perché cambiare questa nostra prospettiva di osservazione della famiglia? È importante soffermarci sulla loro importanza relazionale poichè la relazione che si viene ad instaurare tra fratelli è quella significativa nella vita di ognuno di noi, è quel tipo di relazione destinata a durare tutto l’arco di vita, soprattutto a quella genitoriale.
In inglese per indicare questi fratelli e la loro relazione all’interno della famiglia si usa un unico termine, Sibling; occuparsi di loro significa riuscire a capire e ad attivare la cura parentale in modo da consentire anche a loro un adeguato sviluppo psicofisico.
Creare un contesto supportante per i Sibling è fondamentale perché farà in modo di produrre le basi perché siano in grado di affrontare le sfide e le difficoltà della vita con competenze e spirito rafforzati. I fratelli svolgono funzioni differenti nelle diverse fasi di vita: da antagonisti a sostenitori, da modelli a fonte di preoccupazione.
Ma soprattutto vengono vissuti come futuri caragivers (colo che si prendono cura) e quindi nuovi fornitori di cure una volta scomparse le figure genitoriali.
Ma cosa possono provare questi ragazzi nel loro arco di vita?
Sicuramente una delle prime sensazioni e primi vissuti emotivi riguardano il dolore o la sensazione di esser messo o passare in secondo piano rispetto alle priorità dei genitori; ritroviamo il dover essere presto responsabile, indipendentemente dall’ordine di nascita, ma troviamo anche in loro la gratificazione nel fare qualcosa che possa rendere felice il fratello più vulnerabile, la gioia che può derivare dalle sue conquiste e dalle tante risorse scoperte o ritrovate; infine si scoprono portatori di tante potenzialità emotive e psicologiche come l’altruismo, l’empatia, la maturità che emergono via via e si vanno consolidando nelle vicessitudini quotidiane.


Naturalmente la sottostruttura familiare che più può aiutare i Sibling sono i genitori, una loro caratteristica fondamentale è far sì che i Sibling possano vivere tutte queste situazioni familiari con positività; dialogo e mostrarsi sempre fiduciosi nelle capacità di questi ragazzi è fondamentale. È quindi indispensabile offrir loro l’opportunità di essere ascoltati, sostenuti e anche contenuti affinché non si sentano soli, così da prevenire traumi o disagi psicologici. 



Il più delle volte analizzando le parole di questi fratelli viene fuori che:
  • si sentono spesso ai margini delle attenzioni dei genitori;
  • oppure al contrario troppo al centro delle aspettative genitoriali che investono tantissimo su di loro;
  • fanno grande fatica ad esprimere emozioni e bisogni;
  • crescono con la responsabilità che un giorno dovranno prendersi cura del loro fratello o della loro sorella.

Aiutiamo i nostri figli quindi, nel sentrsi accolti e ascoltati, insegnando loro che la resilienza (capacità di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà) è importante e che hanno e avranno sempre uno spazio predefinito e ben definito nella nostra famiglia, sono e saranno sempre figli e fratelli.
Se doveste rendervi conto di non riuscire da soli a gestire il carico emotivo di tutto questo percorso di vita, ricordatevi sempre che avete la possibilità di rivolgervi ad uno psicologo, professionista che può aiutarvi a ritrovare e mantenere il vostro benessere psicologico sia come individui che come famiglia.

martedì 10 marzo 2020

Un evento negativo può diventare qualcosa di positivo: noi e la vita ai tempi del coronavirus


Risultato immagini per famiglia gioco
Ci troviamo in un momento insolito della vita, in cui il rallentamento collettivo delle nostre consuete attività comporta un cambiamento netto rispetto alla “vita normale”. Questo sia a livello individuale che familiare. In veste di psicologa clinica in questi giorni mi sono fermata a riflettere su due aspetti fondamentali legati a questo momento specifico, in cui la nostra Italia è diventata per intero zona protetta. Una mia prima riflessione si concentra su come affrontare in questo momento la vita in casa dei e con i bambini.
Da psicologa ritengo che se hai un bambino molto piccolo sia sempre molto importante tenerlo lontani da schermi e notizie poichè cognitivamente non è in grado di capire, ma è sicuramente abile nel cogliere il tono emotivo e le espressioni facciali e con esse la nostra ansia e preoccupazione. Questo perchè dobbiamo comprendere che un bambino di questa età difficilmente riesce ad elaborare queste emozioni.
In teoria, personalmente penso che anche i bambini in età prescolare dovrebbero essere protetti da notiziari e telegiornali, ma se il tuo bambino potrebbe aver sentito qualche informazione in merito e magari può porti delle domande. In questo caso cercate di rispondere dando una spiegazione che possa essere per lui assolutamente semplice e comprensibile, rassicurandolo sul fatto che siamo al sicuro e che dobbiamo seguire alcune piccole regole per poter mantenere questa situazione di positività in casa.
Se, invece, avete un bambino in età da scuola elementare sicuramente potete affrontare l’argomento, ricordandovi però di adattare sempre le vostre spiegazioni alla sue capacità di comprensione. Tenete a mente che i bambini di questa età spesso fanno ragionamenti sofisticati e potrebbero sembrarvi più esperti di quel che potrebbe essere ma in realtà possono avere degli incubi o diventare molto ansiosi. Tendete comunque a proteggerli da telegiornali che potrebbero mandarli in ansia anche senza la vostra piena percezione della cosa.
Un aspetto da considerare con i bambini di tutte le età è di calmarsi prima di parlare con loro per non trasmettere, anche inconsapevolmente, ansie e paure. Cercate di parlare con onestà, senza avere il timore di ammettere che non sapete tutte le risposte.

Risultato immagini per relax e lettura

La seconda riflessione si sposta sul significato più generale di questo rallentamento forzato dalle nostre abitudini quotidiane; sulla scoperta di cosa è realmente importante. Parlando praticamente delle giornate che ci aspettano potranno sembrarci stancanti se si hanno dei bimbi da intrattenere. Il mio consiglio è di alternare momenti di gioco indipendente a momenti di gioco insieme. La capacità di giocare in maniera indipendente è una competenza fondamentale per i bambini.
Ora pensiamo a noi adulti, siamo in zona protetta e di fronte ad una possibile pandemia, per un attimo siamo tutti costretti a fermarci, cercando di capire anche quali sono le nostre priorità e chi sono le persone che per noi sono importanti. In un certo senso è un’ottima occasione per fermarsi e fare il punto della situazione. Su cosa conta e cosa no. Sulle questioni a cui abbiamo attribuito importanza e quelle a cui abbiamo dedicato troppe poche o troppe energie.

Il suggerimento che vi lascio in questi giorni in cui siamo costretti a interrompere le nostre abitudini consolidate, le nostre routine, è di provare a riflettere e immaginarsi alternative possibili per esserci davvero con noi, i nostri cari e i nostri bambini. Sarebbe bello che ognuno di noi provasse per qualche giorno a percepire che effetto fa sulla nostra esistenza e sulla nostra “salute” psicofisica un ritmo più lento e tranquillo. Provare a sentire con tutti i nostri sensi e con il cuore, fermarsi ad ascoltare la sensazione che ci dà il circondarci di persone sicuramente meno stressate e meno indaffarate in cose che dovrebbero essere solamente il corollario della vera esistenza. E soprattutto provare a capire che cosa rende la nostra esistenza degna di essere vissuta.


martedì 26 febbraio 2019

Il gioco, sostantivo singolare! Quando il bambino ama giocare solo


Risultati immagini per bambini giocano soli

A volte mi trovo davanti a mamme preoccupatissime che mi dicono:-mio figlio non gioca con gli altri bambini! Sono veramente preoccupata perchè mio figlio così non socializza con gli altri bambini!-

Ma quando il gioco prevalentemente solitario può diventare un problema?

Partiamo dal presupposto che il gioco ha un ruolo fondamentale nel nostro sviluppo perchè permette a ciascuno di noi, in un contesto sempre protetto, di sperimentare e di rafforzare le competenze cognitive, fisiche e sociali. Prima dei tre anni i piccoli sono spesso impegnati a giocare da soli e a richiedere poi loro la presenza di un adulto o di un altro pari nel gioco che sta svolgendo. Questo porta spesso l'adulto a non comprendere l'importanza di questo passaggio e fa di tutto per coinvolgerlo in un'attività di gruppo. Ma il gioco in solitaria offre ai bambini uno spazio di crescita poiché è prima di tutto un'attività educativa, attraverso la quale l'adulto riesce a interagire e a introdurre nella quotidianità del bambino delle regole e delle nozioni che poi saranno utili. Quindi è l' adulto che ocn il suo esempio insegna al bambino le “regole” del gioco e il piacere che se ne deriva, costruendo una sorta di palestra dove può sperimentarsi. Il gioco nasce quindi con il bambino presente in una posizione di passività, egli è spettatore di quello che succede intorno a lui, ma nel corso del tempo man mano le parti in gioco si invertono e l'adulto come dicevamo poc'anzi viene spesso richiesto dal piccolo e solo magari per assistere alle sue attività per trarne così piacere. È da questo momento in poi che il bambino diventa il vero protagonista del gioco e la prima fase è caratterizzata dalla riproduzione dei giochi dell'adulto in forma assolutamente solitaria.

Risultati immagini per bambini giocano soli

Ma è davvero così utile far giocare i nostri bambini da soli? Imparano qualcosa?. Il gioco solitario è un momento fondamentale che consente al piccolo di sviluppare la consapevolezza del Sè e dell'ambiente. In questo momento si rende consapevole di tutte quelle componenti sociali che poi gli permetteranno poi di interagire bene con gli altri. Questa esplorazione gli permette di “esercitare” quelle capacità che poi lo porteranno all'apprendimento della stazione eretta, a camminare e a parlare poi in modo corretto.
Nel gioco solitario vengono ricreate infatti man mano che il bambino cresce tutte le dinamiche della vita (anche grazie all'uso dei pupazzi che diventano attori in una recita) e il bambino fingendo impara a gestirle ed affrontarle. A livello cognitivo i bambini imparano così anche a pensare mentre sono impegnati a giocare da soli. Poiché si dettano i loro tempi di riflessione e azione, anche quando ci sembrano fermi e annoiati nel bambino sta avvenendo un piccolo processo di crescita che lo porta via via anche a creare da zero giochi che a loro piacciono, usando magari i materiali in modo alternativo.
Spesso notiamo che le loro attività sono accompagnate da un soliloquio che non è rivolto a nessun ascoltatore e che a noi sembra a volte incomprensibile, attraverso il quale il bambino si autodescrive le proprie attività e ragiona ad alta voce sul significato delle proprie azioni, come farà poi silenziosamente attraverso il pensiero.
Gli effetti benefici che il gioco ha sui bambini si manifesta anche nella loro personalità. La capacità di concentrarsi migliora, aumenta l’interesse per i giochi e la capacità di risolvere piccoli problemi utilizzando le proprie risorse personali. Proprio per queste ragioni è così essenziale comprendere l’importanza del gioco libero e solitario per il corretto sviluppo del bambino. Il gioco libero consiste nel poter giocare con il proprio corpo o con i giocattoli che gli stanno intorno, manipolare oggetti, spostarsi e muoversi lasciandosi guidare dal proprio istinto e dalla propria curiosità innata. Senza regole, senza limiti e senza alcuna rigidità.

Immagine correlata
Il gioco solitario quindi non deve spaventare i genitori, proprio perché il bambino sta cercando di conoscere e costruire se stesso, soprattutto nei primi anni di vita.
Il “giocare solo” può però prolungarsi anche durante la scuola d’infanzia o la scuola primaria: se ciò avviene in modo persistente e continuo è bene capire assieme alle insegnanti perché il bambino sceglie questo tipo di gioco.
È importante trovare sempre uno spazio e un tempo per giocare con il bambino, nei prossimi giorni vedremo come supportare il nostro bambino dalla scuola d'infanzia in poi a imparare a giocare anche con gli altri bambini.

sabato 30 giugno 2018

La noia nei nostri bambini, alleata della creatività!


Ai genitori la noia del proprio bambino viene spesso vissuta come un problema da risolvere a tutti i costi, si cerca di far di tutto per soffocarla scandendo ogni minuto e ogni momento libero del proprio bambino, con ritmi a volte insostenibili per lo stesso. E invece per lui è un'opportunità di crescita da cogliere, un diritto. Vediamo insieme perchè la noia è importante per i bambini.

Annoiarsi permette al bambino di iniziare a pensare, riflettere, viversi il silenzio e così mettersi in moto per trovare di fare qualcosa per superare la noia stessa. Ecco l'importanza della noia, dare al bambino un'opportunità in più per crearsi la sua indipendenza fisica e psicologica.

La noia è il modo immediato per sviluppare la sua creatività. Ci si lamenta in questi ultimi anni che i bambini di oggi siano privi di fantasia e creatività, spenti davanti a cellulari oppure tablet e televisioni, ma non ci chiediamo il perchè. Probabilmente il tempo della noia viene rubato da tutti questi “tappabuchi” elettronici che non permettono al bambino di star li e godersi il “vuoto” della noia, far ripartire il suo pensiero e mettere in pratica quello a cui si è pensato.
Teresa Belton, scienziata inglese esperta di problemi dell'infanzia e dell'apprendimento, sostiene che la noia è “la linfa segreta della creatività”. Avere tempo per pensare può aiutarli a scoprire meglio ciò che li rende felici. Perciò, ai bambini deve essere lasciato lo spazio idoneo per gestire in modo personale il loro tempo e non avere tutto programmato e gestito dagli adulti.


Ecco perchè la noia deve essere rispettata da noi adulti e dobbiamo accompagnare il piccolo con amore ed estrema pazienza nelle attività da lui trovate per superarla, godendosi anche la lentezza che può accompagnare tutto il percorso. È inutile tartassarlo di domande inutili e incalzanti per cercare di aiutarlo nel colmare questo vuoto, perchè tutto ciò farà leggere al nostro bambino tra le righe che questa sua inattività momentanea o lentezza è assolutamente sbagliata, non deve ritrovarsi in questa situazione pericolosa e quindi lui è sbagliato!


Come sostiene la Belton: “Facciamo dunque i giusti onori alla noia. Questa buona fata che costringe i nostri bambini, sbadigliando, a scegliere ciò che è davvero utile per loro