«Essere un uomo significa…avere la
capacità di sopportare
un dolore quando questo capita in sorte.
»
Viktor E. Frankl
ETICA PROFESSIONALE
Lo
psicologo, o un qualsiasi medico in generale, vanno incontro quotidianamente ad
un carico di speranze e di angosce, derivanti dalla disperazione dei malati e
delle loro famiglie, ai quali cercano di avvicinarsi con solidarietà umana e
sensibilità. Importante è la competenza e l’atteggiamento non solo del clinico,
ma anche dei diversi operatori sanitari
che operano in un dato contesto. Nella cura del malato, bisogna dare massima
importanza alla spiritualità, intesa nel senso di attenzione a quelle che sono
le attese e le domande più profonde del paziente. Vivere il dolore degli altri,
del paziente significa prendere coscienza della sua struttura fisica e
psicologica. Spesso nel distinguere la malattia dalla sofferenza, si corre il
rischio di concentrarsi solo ed esclusivamente sul disturbo, sia esso fisico o
psichico, trascurando il dolore intimo del paziente. Proprio in questo consiste
la differenza tra curare la malattia e curare il malato.

LA RELAZIONE CLINICO-PAZIENTE: I RUOLI E LE MODALITA’ DI COMUNICAZIONE.
Ciò
che esprime il paziente spesso è il bisogno di un luogo tranquillo dove
parlare, dove poter condurre un colloquio con la massima serenità. Egli ha
anche l’esigenza di avere informazioni su come affrontare le tappe
terapeutiche. La relazione di cura è asimmetrica, dettata dal bisogno e dalla
malattia del paziente. Essa ha due
facce: quella in terza persona che corrisponde a ciò che il clinico può
diagnosticare, e poi il vissuto del malato, in quanto la malattia risulta
essere un nuovo modo di esistere e di pensare alla propria condizione. Spesso
la relazione di cura ha una prassi impersonale, fatta di interventi e farmaci
che riducono il tempo della relazione allo stretto necessario. Non sempre il
clinico è disposto a prendersi cura del
paziente dandogli disponibilità, attenzione e ascolto.

IL PAZIENTE E LA SUA FAMIGLIA
Il
paziente spesso di fronte alla malattia vive una specie di assalto, per diverse
motivazioni. Deve incassare un impatto emotivo potente, preoccupandosi spesso
per la reazione dei suoi familiari, affrontando così un gioco di ipocrisie per
cercare di nascondere e minimizzare una situazione di difficoltà. Le reazioni
da parte dei familiari di fronte alla malattia possono essere molteplici.
Alcuni mettono in secondo piano se stessi aiutando attivamente il malato
(iperconvolgimento), per altri il peso diventa intollerabile dimostrando magari
ostilità e distacco, ma ciò non ha a che vedere con il fatto di non amare il
familiare. Famiglie che spesso con l’aumentare della gravità della situazione
sentono una diminuzione della capacità “di essere per l’altro” ,di relazionarsi
con il malato. Ciò avviene sia nel caso di una malattia fisica che pischica. Queste
situazioni diventono il punto di partenza di vari disagi e difficoltà; Proprio
per questo molte famiglie chiedono in modo esplicito un aiuto e un sostegno, un
progetto di pianificazione che possa aiutarli a fronteggiare le difficoltà e le
diverse manifestazioni emotive del malato. La malattia dunque ha un
significativo impatto sul funzionamento della famiglia, poiché provoca un
impegno per il lavoro di cura, e un cambiamento nelle relazioni familiari. Un
aspetto importante infatti è il cambiamento di ruoli. Modificare i ruoli in un
momento doloroso come quello di una malattia, può creare disagio e difficoltà
di adattamento. Adottare un ruolo diverso dal proprio significa prendere
coscienza del fatto che il proprio familiare non è più quello di una volta, ciò
significa fare i conti con l’inadeguatezza dell’altro. Questa situazione
richiede necessariamente una maturità interiore e un equilibrio spesso
difficile da raggiungere. Alcuni
conflitti possono nascere proprio dall’eccessivo stress a cui le famiglie sono
sottoposte durante questi momenti. Dunque importante è che la famiglia sia
accompagnata nel processo di accettazione della diagnosi, nella ricerca delle
informazioni riguardo la malattia, e nella disponibilità per eventuali
necessità future. Solo se i familiari riescono ad adattare il proprio ruolo
alle mutate caratteristiche del malato, riescono a mantenere un equilibrio
interno e una relazione discretamente buona con il malato. La sofferenza della
famiglia non deve essere sottovalutata, poiché molti insuccessi di cure per il
malato possono dipendere dalla mancata vicinanza dei propri cari. Ci vogliono
spazi per comunicare, in modo che i familiari possano esprimere i propri
sentimenti, paure ed emozioni, ed essere pronti ad affrontare i momenti di
crisi. Per quanto riguarda la terapia psicologica, spesso sono proprio le
famiglie che preoccupati per la salute di un familiare lo costringono a
prendere una decisione per risolvere un disagio. Compito del clinico o dello
psicologo è analizzare la domanda, capire i motivi che hanno spinto il paziente
a recarsi ad un colloquio. Spesso un individuo decide di rivolgersi ad uno
specialista per tranquillizzare la famiglia, per evitare che i rapporti possano
rovinarsi, o a volte può capitare che il paziente è molto ostile nei confronti
dei suoi cari. Importante è dunque analizzare le richieste latenti. Spesso infatti dietro una richiesta di aiuto per un familiare,
si può nascondere un disagio insito nell’intero nucleo familiare. Per cui ad
aver bisogno di aiuto non è più solo il paziente, ma anche i suoi cari.